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martedì 16 marzo 2010

GOOD MORNING VIETNAM


Cosa resta del Vietnam post-bellico a 35 anni dalla fine di un conflitto che ha segnato la seconda metà del ‘900? Eccovi il resoconto del viaggio attraverso uno dei paesi più controversi dell’Asia. Una nazione che si snoda lungo la penisola indocinese, dalla foce del Fiume Rosso a nord, fino all’immenso Delta del Mekong nell’ estremo sud.


Sentendo la parola “Vietnam” la mente corre veloce alla guerra che nella seconda metà del secolo scorso ha visto la superpotenza americana subire la sua prima, grande e vera sconfitta del post seconda guerra mondiale. Come ci ricordano però gli stessi Vietnamiti, imprimendolo su colorate t-shirt che vendono a pochi dollari, il Vietnam è un Paese, non una guerra! È un paese che con i suoi 83 milioni di abitanti, sul piano “umano” e non solo, non risparmia proprio nulla al viaggiatore che vi si addentra. Attraversandolo da nord a sud ho avuto l’impressione di un paese operoso, sempre indaffarato nella vita, dai campi alle fabbriche; che fossero immersi nelle verdi risaie o tra il cemento grigio di un distretto industriale, i Vietnamiti mi sono apparsi inattaccabili nella loro quotidiana lotta per la sopravvivenza. Viaggiando con loro sugli autobus, nelle barche e sui treni, calpestando i luoghi teatro di feroci bombardamenti, visitando il ventre della terra all’interno dei famosi tunnel vietcong, non ho stentato nemmeno per un attimo a capire come la superpotenza USA armata fino ai denti abbia potuto perdere contro un piccolo paese armato con fucili di seconda mano e con una manciata di riso nelle tasche dei suoi soldati. Le verità che saltano agli occhi sono due, parallele ed assolutamente inscindibili: la prima è che l’orgoglio di questo popolo di difendere la loro terra per unire ciò che gli invasori coloniali avevano diviso già al tempo dei francesi, era più forte di qualsiasi arma l’uomo potesse utilizzare; l’altra è che se anche i bombardamenti fossero andati avanti fino a che non fosse rimasta una sola pianta di riso, i Vietnamiti avrebbero ripiantato instancabili quel filo d’erba non appena il suono delle bombe si fosse placato. Non ho trovato in questo Paese la gentilezza e l’ospitalità ricevuta in precedenti viaggi attraverso altri stati dell’Indocina, ma piuttosto un diffuso malcostume a manifestare una sorta di ostentato senso di superiorità e di sprezzo per lo straniero in generale. Pur potendo comprendere che tale sentimento si sia impresso nel DNA di questo popolo attraverso anni di lotta per la sopravvivenza, sono rimasto parzialmente deluso dal mondo che vi ho incontrato. Certo per chi si addentra per la prima volta in un paese asiatico, il Vietnam è un concentrato di tutto quello che si può trovare in questo magnifico continente: dai mercati chiassosi e odoranti di cibi speziati di Hanoi alle motociclette che sfrecciano a migliaia per le strade di Saigon, passando per le risaie e i paesi di provincia, e poi cyclo, venditori, ambigui saloni per massaggi, l’odore di incenso che si leva da templi e pagode, tutto questo non è che una piccola parte di una società dalle mille sfumature. Un’esperienza che getta chi è abituato a vivere nel mondo occidentale in una realtà differente, governata da regole e da una morale lontane da noi ed in alcuni casi incomprensibili. Cosa significa fare un viaggio in Vietnam nel 2010 e, soprattutto, cosa resta e cosa è diventata la società comunista che i Vietnamiti hanno costruito in questi 35 anni? La cosa che salta subito agli occhi dell’osservatore più attento è come il comunismo abbia fallito: la società è governata in parte dalle regole del mercato e dall’altro da “conoscenze, amicizie, favori”, non c’è quindi nulla di diverso da una normale società capitalistica moderna. La domanda che sorge spontanea è, allora: a cosa sono servite la guerra, i morti e le sofferenze? Probabilmente a nulla, probabilmente possiamo pensare che gli sconfitti avrebbero creato la stessa società meglio e in tempi più rapidi, visto che era come quella che loro volevano! Soprattutto al sud nelle strade di Saigon ho avuto la netta impressione che in parte fosse ancora in piedi quel sistema di controllo dei quadri di partito vietcong istituito appena finita la guerra (un vecchio retaggio del comunismo cinese): personaggi apparentemente innocui, venditori agli angoli della strada, o il negoziante di quartiere, che più che vendere si occupano di scrutare la vita quotidiana e riportarla al comitato di zona; ma forse era solo l’ombra di un sistema che in breve trasformò gli oppressi in oppressori…un fantasma che stenta ad andarsene dalle strade della città.
Oltre a questo, del Vietnam post bellico non resta quasi nulla, nemmeno i luoghi teatro di scontri sanguinari e massacri sono più così impressionanti se non nella loro feroce storia; l’erba, la jungla e le piantagioni di caffè sono ricresciute sulle barbarie dell’agente orange e sulle fiamme infernali del napalm, delle vecchie basi americane resta solo qualche elicottero e qualche carro armato arrugginito e, se non fosse per la guida e per qualche tomba sparpagliata nelle risaie, non si avrebbe nemmeno l’impressione di entrare nella famigerata fascia intorno al 17° parallelo, quella che fu nominata per ironia della sorte DMZ (zona demilitarizzata) e che invece in poco tempo si trasformò nella zona più militarizzata del Mondo. Oggi il business ha preso il sopravvento, il turismo è una delle industrie più fiorenti e i guidatori di Cyclo, retaggio dell’età coloniale, scorrazzano ancora nella ricerca di clienti. Il mercato, lo scambio di merci, la mano d’opera a basso costo e a bassi diritti sono ritornati a dominare l’economia, la natura è violentata a tal punto che navigando sul Mekong non è raro che il barcaiolo si fermi a togliere le buste di plastica che soffocano l’elica. Che siano sulle poltrone lussuose dell’Hotel Caravelle o in un buio bar nascosto in un vicolo, persino le prostitute bambine che allietavano i soldati americani nei girls-bar sembrano essere tornate, nell’ombra della notte di Saigon, ad intrattenere i turisti solitari. Nessun luogo meglio dell’Asia è utile per vedere che la vita vince sempre su tutto e che l’eterno ciclo della vita e della morte, passando attraverso la sofferenza, non avrà mai fine.

The Show Must Go On.



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